Editoriale – L’informazione a senso unico consolida le dittature

Superati gli shock dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Usa e delle dimissioni di Klaus Shwab dalla direzione del Forum economico di Davos, i globalisti hanno ripeso la marcia per resettare il mondo. Qualcuno di questi sta persino tentando di orientare i cardinali perché eleggano un pontefice sensibile al loro progetto.

È un dato di fatto che la narrazione, in atto nel nostro Paese da almeno trent’anni, non s’è mai arrestata. La quasi totalità dell’apparato mediatico è sempre saldamente nelle mani di coloro che diffondono quel brodo culturale che ha permesso alle élite d’ispirazione liberista, marxista e radicale di governare indisturbati.

Le rassegne stampa diffuse da televisioni e radio seguono l’identico canovaccio con citazioni di articoli pubblicati da “La Repubblica”, “Corriere della sera”, “La Stampa”, “Il Fatto quotidiano”. Di tanto in tanto, bontà del cronista, qualche veloce – sottolineiamo, molto veloce – richiamo attinto da “Domani” e “Foglio”. I giornali considerati filogovernativi, come “La Verità”, “Il Giornale” e “Libero”, non compaiono mai nelle rassegne stampa e se vengono menzionati è sempre per contestarne qualche titolo. “Avvenire”, quotidiano dei vescovi e “Il Sole 24Ore”, house organ di Confindustria, sono citati sempre in funzione antigovernativa.

Per avere conferma di ciò che scriviamo è sufficiente sintonizzarsi sui canali 48 RaiNews e 50 SkyTG24. Un filino fuori dal coro, ma non troppo, è il canale 51 TGcom24 (Mediaset) che, oltre a mostrare la testata della casa, “Il Giornale”, di tanto in tanto si sofferma su qualche quotidiano locale.

Così l’opinione pubblica italiana è quotidianamente bombardata con notizie che sono l’espressione di un’ideologia fondamentalmente laicista la quale, spacciandosi pure per progressista, di tutto fa eccetto che promuove la persona.

Ci si scandalizza per la violenza dilagante tra i minorenni, ci si indigna per l’incremento dei femminicidi, ci si irrita per incongruenti retribuzioni, ci si altera per la scarsa assistenza sanitaria, ci si lamenta dell’inadeguatezza del trasporto pubblico, ci si lagna delle carenze scolastiche e avanti con un’interminabile “quaderno di doglianze”, ma non ci si chiede mai, se per tutto ciò, esista anche una nostra responsabilità personale.

Accettare supinamente tutto ciò che i media diffondono, non leggere libri, non partecipare a conferenze, disdegnare mostre culturali e soprattutto non confrontarsi con chi è davvero in grado di insegnare valori utili per la vita è la strada maestra per essere prima turlupinati e poi schiavizzati.

Occorrerà ancora molto tempo prima che l’informazione torni ad essere equilibrata. D’altra parte nello stesso servizio pubblico, la Rai, i giornalisti impegnati a contrastare il governo di centro-destra proseguono nella loro attività godendo di ampi margini di manovra.

In una democrazia compiuta gli spazi della comunicazione, attraverso media pubblici, dovrebbero essere commisurati al peso elettorale. Un partitino del 2 per cento non può pretendere di avere la stessa visibilità di un partito che ha il 20 o il 30 per cento dei consensi. Il “bilancino” della Rai è costantemente in avaria perché non c’è telegiornale che quotidianamente non registri la presenza di un esponente politico che parla a nome di +Europa, un partito praticamente inesistente perché non ha nemmeno un senatore e solo tre deputati. Il Partito popolare sudtirolese (Südtiroler Volkspartei) ha tre deputati, due senatori e un parlamentare europeo e non appare quasi mai.

Alle ultime elezioni per il Parlamento europeo si sono messi insieme, nella lista “Stati Uniti d’Europa”, +Europa, Italia Viva, Partito socialista italiano, Radicali italiani, LibDem Europei e L’Italia C’è. Questa ammucchiata di aspiranti ad un posticino a Strasburgo (circa 15.000 euro di stipendio al mese) non ha raggiunto lo sbarramento del 4 per cento per cui non è stata in grado di aggiudicarsi neppure un seggio.

La sinistra, in Italia, ha sempre goduto di buona stampa grazie ai soldi dei contribuenti. Il finanziamento pubblico dei giornali andrebbe rivisto e anche i criteri delle assunzioni e delle collaborazioni in Rai. Ne riparleremo.

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